Screening cancro prostata: utile o dannoso?

Il Cancro della prostata, neoplasia più frequente nell’uomo, rappresenta la terza causa di morte nel sesso maschile. In Italia ogni anno, per questo tipo di malattia, muoiono 7500 uomini. Partendo da queste considerazioni si offre un’analisi, alla luce dei dati e delle ricerche scientifiche, sullo screening del cancro alla prostata.

Screening cancro alla prostata

L’era del dosaggio ematico dal 1991 al 2008

Il dosaggio ematico della proteina prodotta dalla prostata e denominata PSA, ovvero antigene prostatico specifico, è stato a lungo impiegato negli screening di popolazione sul cancro della prostata. L’era del dosaggio del PSA, dagli anni ‘90 al 2008, è stata caratterizzata da grande entusiasmo. Iniziata subito dopo la scoperta di questa proteina (nel 1991), ha ottenuto un notevole incremento dell’aspettativa di vita nei pazienti. La mortalità, infatti, si è ridotta di oltre il 53%, e contemporaneamente di oltre l’80 % è diminuita la quota di pazienti già metastatici alla diagnosi.

I limiti del PSA: overtreatment e proibizione del PSA

Tuttavia l’impiego del PSA nello screening del cancro della prostata ha risentito di forti limitazioni legate agli esami per l’elevata sensibilità e bassa specificità. Per queste ragioni le campagne di screening sono state in seguito considerate non raccomandate. Le limitazioni principali sono tuttavia legate alla diagnosi, insieme alle forme aggressive di forme neoplastiche a basso potenziale di malignità, che solo raramente possono rappresentare una vera minaccia per la salute. Le malattie poco aggressive, invece, sono state trattate come se mettessero in immediato pericolo la vita del paziente con interventi chirurgici o radioterapia, provocando complicazioni e costi che si sarebbero potuti evitare. Insomma in questi pazienti è stato attuato in quel periodo un vero e proprio overtreatment. E così dopo la cosiddetta era del PSA-screening si è avuto un periodo di ripensamento denominato era della proibizione del PSA. Questo periodo, iniziato nel 2008 si è concluso nel 2017. Una decisione presa negli USA, per la constatazione di un trend di crescita, sia della mortalità per cancro della prostata, che per incidenza di malattia diagnosticata.

Regime di sorveglianza attiva

Da qui l’introduzione del regime di sorveglianza attiva, in cui i pazienti con neoplasia a basso rischio non venivano trattati immediatamente, ma sorvegliati con dosaggi frequenti del PSA e biopsia di controllo annuale. Questa modalità ha ridotto in maniera molto significativa i casi di overtreatment, limitando le complicazioni non necessarie in una elevata percentuale di casi. Ormai è raro che un paziente con malattia a basso potenziale di malignità venga sottoposto ad intervento chirurgico o radioterapia con intento radicale. Resta sempre valido il principio che le decisioni devono essere prese e condivise in èquipe multidisciplinari, dove specialisti insieme all’urologo e all’oncologo si confrontano.

"Quello che serve invece non è non dosare il PSA che può portare a risultati disastrosi con diagnosi tardive, ma interpretare bene e in modo appropriato i risultati."

L’era della rinascita del PSA

Per queste ragioni oltre che per i risultati consolidati degli Screening Europeo e Americano condotti su un numero considerevole di pazienti che hanno mostrato un indubbio vantaggio dello screening di massa dal 2017, siamo entrati nell’era della rinascita del PSA-Screening. La Società Europea di Urologia (EAU) già dal 2014 raccomandava un dosaggio del PSA per individuare il valore baseline per individui già alla età di 40-45 anni. Se il livello baseline era maggiore di 1 mg\ml i controlli successivi potevano essere effettuati ogni due anni. Se, invece, era inferiore poteva essere impiegato un intervallo più lungo anche fino a 8 anni. In conclusione la EAU raccomandava già dal 2014 che lo screening per il cancro della prostata avrebbe dovuto essere offerto a tutti gli uomini con aspettativa di oltre 10 anni a partire dai 40-45 anni. Anche se queste informazioni sono state fino ad oggi poco condivise e permane nell’immaginario collettivo l’idea che il dosaggio del PSA possa essere fonte di trattamento inappropriato.

La giusta interpretazioni dei valori e dosaggi del PSA

Quello che serve invece non è non dosare il PSA che può portare a risultati disastrosi con diagnosi tardive, ma interpretare bene e in modo appropriato i risultati. Per valori di PSA compresi tra 4 e 10, nella cosiddetta zona grigia, l’interpretazione dei dati può essere complessa. In questa area la specificità di questo esame per CA prostatico non supera infatti il 30% potendo simili valori essere causati da molti fattori come IPB e infiammazione (prostatite), ma anche un recente rapporto sessuale o l’impiego recente della bicicletta. Tuttavia non va sottovalutato perché può essere la spia di un Cancro Prostatico aggressivo e deve essere valutato in mani esperte richiedendo prima di tutto una esplorazione rettale accurata. Per valori superiori a 10 il rischio di PCA aumenta esponenzialmente con il valore del PSA.

Bibliografia
• WJ Catalona. Prostate Cancer Screening: Med. Clin. North AM.2018.March;102(2):199214.doi:10.1016.
• Stacy Loeb Guideline of guidelines: prostate cancer screening: 2014 BJU International | doi:10.1111/bju.12854.
• Documento di consenso regionale sull’impiego del PSA elaborato nel 2016 dal comitato direttivo dell’associazione degli urologi marchigiani e reperibile on line sul sito dell’associazione (ASSUAM).

Dott. Enrico Caraceni