Sempre più frequentemente ormai sentiamo parlare dei disturbi specifici dell’apprendimento (indicati con l’acronimo DSA), termine usato talvolta in maniera impropria o ridondante.
Spesso ci si trova infatti di fronte a mamme preoccupate per i loro bambini di 4 o 5 anni che forse possono avere un disturbo specifico dell’apprendimento.
Sempre più frequentemente ormai sentiamo parlare dei disturbi specifici dell’apprendimento (indicati con l’acronimo DSA), termine usato talvolta in maniera impropria o ridondante.
Spesso ci si trova infatti di fronte a mamme preoccupate per i loro bambini di 4 o 5 anni che forse possono avere un disturbo specifico dell’apprendimento. Facciamo chiarezza: è giusto dare importanza alla prevenzione ed è quindi doveroso osservare i bambini, con i loro punti di forza e gli eventuali punti di debolezza nelle capacità di sperimentare e apprendere (difficoltà che fungono quindi da campanelli d’allarme), tuttavia è errato affrettarsi a trarre “conclusioni diagnostiche” laddove non vi siano ancora le condizioni necessarie e scientificamente approvate per poterlo fare.
Cosa dice la legge?
Secondo la legge 170 emanata nell’ottobre 2010 (“Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”), i disturbi specifici dell’apprendimento rientrano in una ben precisa categoria diagnostica, che riguarda la particolare modalità con cui alcuni bambini dall’intelligenza nella norma o addirittura superiore, si approcciano alla lettura, alla scrittura e al calcolo, trovandosi in forte difficoltà rispetto ai coetanei. Dunque, nonostante un quoziente intellettivo adeguato, nonostante l’assenza di lesioni cerebrali, nonostante un’appropriata esposizione al l’apprendimento e all’ambiente socioculturale, i risultati scolastici risultano scarsi o insufficienti. Ecco quindi perché si chiamano disturbi specifici: perché oltre queste peculiari difficoltà, non c’è nessun altro problema. E questo accade perché le strutture cerebrali deputate al l’apprendimento e automatizzazione della lettoscrittura funzionano in maniera differente rispetto a quelle di un bambino che non presenta difficoltà scolastiche.
La legge 170 tutela questi bambini e distingue quattro forme diagnostiche che possono presentarsi isolatamente o associate tra loro:
• la dislessia, ovvero una specifica difficoltà nella lettura, che risulta lenta e scorretta, e nella comprensione di quanto si è letto
• la disortografia, difficoltà nel l’apprendimento dell’ortografia (trascrizione di doppie, accenti, digrammi, trigrammi) • la discalculia, difficoltà che si manifesta negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri • la disgrafia, disturbo che si evidenzia nella realizzazione grafica, rendendo la grafia disordinata e spesso illeggibile
Quando si può fare la diagnosi?
Visto che le parole più ricorrenti finora sono lettura, scrittura e calcolo, va da sé che si può iniziare a parlare di disturbo specifico dell’apprendimento solo alle elementari e non prima! Nello specifico: la diagnosi di dislessia e/o disortografia può essere stilata solo alla fine della seconda elementare, mentre per la diagnosi di discalculia e/o disgrafia si deve aspettare la fine della terza elementare, questo perché si deve dare a tutti i bambini un tempo sufficiente per familiarizzare con i nuovi apprendimenti che giungono dal mondo della scuola. Prima di tali scadenze però c’è una serie di segnali da osservare, perché la loro evoluzione può far ipotizzare che più tardi vi sarà una più concreta manifestazione del disturbo.
Quali sono i campanelli d’allarme alla scuola dell’infanzia? Come raccomandato nelle linee guida allegate al decreto MIUR n.297 del 2013, già alla scuola materna è possibile notare alcuni indicatori di rischio da tenere in considerazione:
• difficoltà di espressione e comprensione del linguaggio (alterazione delle parole, difficoltà nel racconto di storie o eventi accaduti, difficoltà nella comprensione di comandi o richieste, ecc.)
• difficoltà nel fare i giochi con le parole (trovare le rime, trovare la parola più lunga, dividere in sillabe una parola data, ecc.)
• rappresentazioni grafiche immature rispetto all’età, difficoltà nella gestione dello spazio nel foglio
• difficoltà nella pianificazione e realizzazione di puzzle o costruzioni con mattoncini
• difficoltà nell’imparare i nu meri entro la decina o nel confronto o manipolazione di quantità (quale gruppo è maggiore, aggiungere o sottrarre elementi, ecc.) • difficoltà che necessito abilità “raffinate” delle dita (es. ritagliare, abbottonare, allacciare le scarpe, ecc.)
Quali sono i campanelli d’allarme durante il primo anno della scuola primaria? Come riportato nel sito Associazione Italiana Dislessia: “La scuola ha il compito di individuare precocemente gli alunni che potrebbero essere dislessici per la presenza di forti difficoltà nelle competenze relative alla lettura, alla scrittura e al calcolo.” Se con l’inizio della scuola primaria dunque alcune delle competenze sopra elencate non si sono sviluppate o insorgono nuove difficoltà legate alle discipline scolastiche, i bambini vanno osservati più attentamente. Gli aspetti su cui porre maggiore attenzione sono i seguenti:
• difficoltà nell’apprendimento dei giorni della settimana o dei mesi dell’anno
• permanenza di difficoltà nel riconoscimento delle lettere e delle sillabe a gennaio del primo anno di scuola
• scarsa autonomia nella scrittura di lettere e parole
• fatica durante l’atto grafico e produzioni alterate a tal punto da non essere decifrate
• difficoltà di conteggio, di recupero delle tabelline e di svolgimento di calcoli a mente entro la decina
• possibile associazione con difficoltà nel mantenimento del l’attenzione e della concentrazione
Se vi fossero dubbi o se fossero presenti alcuni di questi indicatori diagnostici, non è da escludere la possibilità di effettuare una valutazione specialistica. Qualora emergano effettivamente delle difficoltà, è raccomandabile intraprendere percorsi mirati al potenziamento delle competenze ritenute carenti, senza attendere la fine della seconda o della terza elementare.
Parliamo di numeri… Si stima che il disturbo interessi il 34% della popolazione scolastica, che tradotto significa più di un milione e mezzo di bambini e ragazzi. Pertanto, è probabile che almeno un bambino per classe possa essere affetto da tali difficoltà. Da sottolineare che i dati potrebbero essere sottostimati, dato che solo da pochi anni si è arrivati a criteri condivisi per la definizione di tale categoria diagnostica.
A chi rivolgersi per la diagnosi?
Per richiedere una diagnosi di disturbo specifico di apprendimento bisogna rivolgersi alla ASL o a strutture private con accreditamento DSA, strutture cioè che siano autorizzate a livello regionale a rilasciare le diagnosi.
E dopo cosa si fa?
Una volta rilasciata la diagnosi (dalla ASL o da privati), essa va consegnata alla scuola in modo da attuare quanto indicato dalla legge 170/2010: viene redatto il PDP (Piano Didattico Personalizzato), un documento che tutela il diritto allo studio dei bambini e dei ragazzi con DSA attraverso l’osservazione di accorgimenti e strumenti specifici (computer con lettore vocale, mappe concettuali, calcolatrice, ecc.) che assicurino il successo scolastico dell’alunno con certificazione. Va chiarito che in caso di diagnosi di DSA non viene assegnato un insegnante di sostegno e non vi è la modificazione degli obiettivi da raggiungere al termine dell’anno scolastico. Inoltre, gli strumenti compensativi citati dalla legge 170 non sono da intendersi come facilitatori, in quanto non riducono il carico cognitivo del compito, ma aggirano le specifiche difficoltà che incontra l’alunno. Se utilizzati in maniera efficace, individualizzata e strategica, diventano fondamentali per accompagnare i ragazzi in un percorso di autonomia ed espressione del proprio potenziale. Per concludere, come è riportato nel sito Associazione Italiana Dislessia: “Leggere, scrivere e calcolare per noi sono atti così semplici ed automatici che risulta difficile comprendere le difficoltà che riscontrano i bimbi o i ragazzi dislessici. Spesso questi ragazzi vengono erroneamente considerati svogliati e la loro intelligenza spiccata dà il via a valutazioni come è intelligente ma non si applica.” I disturbi specifici di apprendimento non “guariscono”, perché non si tratta di una malattia, ma possono essere “compensati” adeguatamente laddove ci sia una perfetta sinergia tra le varie realtà che ruotano intorno al bambino o ragazzo. Compito della scuola è dunque quello di individuare precocemente casi di sospetto DSA per avviare il processo diagnostico e lavorare insieme alla famiglia, agli educatori e ai clinici per assicurare la realizzazione personale e lavorativa dei bambini e ragazzi con disturbo specifico dell’apprendimento.