A chi non è capitato, in questa fase così particolare e delicata, di andare in ansia al primo improvviso colpo di tosse? O al primo starnuto?
Per non parlare della preoccupazione che accompagna al giorno d’oggi un bel raffreddore!
Il pensiero che subito arriva probabilmente è lo stesso per parecchi di noi: “oddio, sarà il Covid?!”
Questo pensiero è decisamente legittimo, vista la circostanza.
Situazioni del genere ovviamente possono capitare anche in altre condizioni, non è necessaria una pandemia.
Non stupisce quindi se molti, al pensiero di aver contratto una malattia, avviassero una serie di precauzioni, monitoraggi, limitazioni, pensieri e valutazioni più o meno catastrofiche.
In linea generale farsi venire lo scrupolo di avere una malattia, se si è di fronte alla presenza persistente di sintomi, e monitorare la situazione è certamente un atteggiamento maturo e responsabile.
Ma può capitare che la paura di star male o venire contagiati possa essere tanto alta che il monitoraggio ed il rimuginio proseguano anche dopo le visite e le rassicurazioni mediche: perché in fondo, non si sa mai, è meglio non rischiare.
Dopotutto, si potrebbe pensare, “maggiore è il controllo e minori sono le probabilità di ammalarsi”.
Se monitorare il proprio stato di salute è un atto di responsabilità, quando allora preoccuparsi per il proprio stato può diventare unproblema?Dove si colloca il confine tra “sono responsabile” e “sono ipocondriaco”?Iniziamo innanzitutto col precisare che il ben noto, e spesso abusato, termine “ipocondria” non viene più utilizzato in ambito clinico.
Nella quinta ed ultima edizione approvata dalla comunità scientifica del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) viene infatti sostituita la classificazione di ipocondria con due differenti categorie: il “Disturbo da Sintomo Somatico” (Somatic Symptom Disorder) ed il “Disturbo da Ansia di Malattia” (Illness Anxiety Disorder).
Nell’ipocondria infatti la diagnosi prevedeva che la persona temesse di avere, o in certi casi ne fosse persino convinta, sintomi legati ad una malattia che però non avevano riscontri medici e nonostante questo, continuasse ad essere estremamente preoccupata per il proprio stato di salute, a dispetto anche delle rassicurazioni mediche stesse.
Con la nuova classificazione si da maggiore spazio a chi i sintomi li ha davvero, ma ne è preoccupato in maniera eccessiva ed ingiustificata, sviluppando un disagio psicologico importante nella propria vita e nelle proprie giornate.
Tale disagio e sofferenza psicologica sono dovuti quindi alla preoccupazione stessa per la propria salute e non alla gravità dei sintomi.
In questo caso la persona è così coinvolta dai propri problemi di salute che sviluppa pensieri (come ossessioni o scenari catastrofici), emozioni (come ansia e paura) e comportamenti (come l’evitamento di luoghi, persone, film, discorsi attinenti...) disfunzionali o patologici.
Nello specifico della nuova diagnosi il Disturbo da Sintomo Somatico prevede, come abbiamo detto, che la persona abbia dei sintomi fisici che però non sono così importanti come li percepisce lei, da giustificare una preoccupazione ed un comportamento strettamente focalizzati sulla malattia, portandola a vivere in uno stato di notevole disagio psicologico.
Nel Disturbo da Ansia di Malattia invece la persona non ha sintomi somatici, ma è estremamente preoccupata per la propria salute, che percepisce costantemente in pericolo.
Si fa diagnosi di tali disturbi se queste preoccupazioni, associate o meno a dei sintomi, sono così vincolanti e persistenti per la propria salute da non trovare rassicurazione in nessun modo, se non per brevi momenti, e se durano per almeno sei mesi (pur spostando la preoccupazione da un sintomo ad un altro), creando disagio significativo nella vita della persona, condizionandone pensieri, emozioni, comportamenti e quindi influenzandone anche il funzionamento sociale e lavorativo.
Questa nuova classificazione è molto importante perché si da il caso che la maggior parte delle persone che in passato potevano rientrare nella categoria “ipocondriaco”, presenti il Disturbo da Sintomo Somatico (75%) rispetto a quello senza sintomi (25%).
Quali sono gli atteggiamenti tipici di chi soffre di questi disturbi?La persona in genere cerca “rassicurazione”.
Questo significa che può rincorrere il parere medico, passando da uno specialista all’altro: non ci si arresta alle rassicurazioni di una sola prima visita, occorre verificare la fondatezza delle preoccupazioni o avere la certezza assoluta di essere “sano”.
Altre rassicurazioni possono essere: indagare su internet le cause associate ai propri sintomi; richiedere confronti e pareri nei conoscenti e vicini; monitorare il proprio corpo ed i segnali preoccupanti in maniera compulsiva.
Ma, allo stesso tempo, si possono osservare strategie di “rassicurazione” opposte, ovvero basate su comportamenti di evitamento: la persona che teme di avere un problema di salute evita visite, controlli, discussioni, esperienze, sforzi, film ...
Qualsiasi cosa che possa portare alla luce una possibile riflessione su un problema medico.
Ma perché, nonostante le rassicurazioni dei medici, una persona non riesce a smettere di pensare di avere un’importante malattia? Perché non può far a meno di monitorare i sintomi? Perché continua a creare nella mente scenari catastrofici?
Ci sono molti fattori di tipo cognitivo, motivazionale e comportamentale a supporto di questa convinzione, che la rende tanto credibile che è davvero difficile liberarsene.
Ad esempio potremmo osservare: il “pregiudizio confermatorio” (confirmition bias), che induce la persona a selezionare solo le informazioni a sostegno della sua convinzione.
Di fronte ad una ipotesi di pericolo del tipo “se soffro di mal di testa, allora ho un cancro al cervello”, chi utilizza questo fattore tenderà a confermare tale convinzione attraverso la danger-confirming reasoning strategy, ovvero non ricercando prove a disconferma, come ad esempio casi in cui ha avuto il mal di testa ma non si è malato di cancro.
Al tempo stesso non esplorerà neppure ipotesi o scenari alternativi, ad esempio “posso soffrire di mal di testa per un problema legato alla cervicale, o allo stress, ecc.”.
Questa strategia viene anche detta “better safe than sorry strategy”, letteralmente “strategia del meglio salvo che dispiaciuto” o più esattamente “meglio prevenire che curare”: l’ipocondriaco viaggia in un’ottica prudenziale, ignorare anche una sola volta la possibilità che si sia affetti da un cancro può risultare disadattivo, contrario ai propri interessi e persino fatale (perché ad esempio non si provvede a curare il cancro tempestivamente).
“L’attenzione selettiva”, ovvero il prestare attenzione esclusivamente ad alcuni elementi e non ad altri.
Può verificarsi nei confronti di processi fisiologici (deglutizione, respirazione, ritmo cardiaco) o anche di elementi fisici (macchie, bolle, rossori, nei).
In questo caso ad esempio se la convinzione è “ho un disturbo cardiaco” la persona andrà a monitorare sempre il battito e sarà molto attenta quando la frequenza aumenta se è sotto sforzo o se ha sbalzi di pressione.
La “facile rappresentatività” e la “facile disponibilità” sono due fattori secondo i quali più si riesce ad immaginare un evento o più lo si può richiamare alla mente facilmente, perché ci sono stati abbondanti esempi in passato, maggiormente lo si considera possibile.
Ad esempio aver assistito o aver letto di frequente di incidenti aerei fa generalmente supporre che si muoia più facilmente in volo che in strada; allo stesso modo se si vede una malattia vicino o in maniera frequente, la si reputa più probabile.
La “manipolabilità delle credenze attraverso i copioni”, è un fattore secondoilqualepiùcreiamouna narrazionementalecoerenteconl’ipotesi di essere malati (ad esempio, immaginare di fare una visita clinica, degli accertamenti ulteriori, di ricevere la diagnosi infausta, di essere ricoverato, eccetera) più la probabilità percepita di star male cresce e va a rafforzare il timore iniziale.
Il “pensiero magico”, secondo il quale la persona suppone che con azioni particolari possa prevenire una malattia, per cui “se mi controllo non mi ammalerò” e allo stesso tempo “se abbasso la guardia mi ammalerò”.
“L’evitamento” è un fattore comportamentale di mantenimento delle preoccupazioni.
Si può applicare ad esempio evitando pensieri, immagini e situazioni legate alla malattia, attraverso la distrazione, o un autocontrollo ossessivo,o evitando sforzi fisici che possano “aggravare” i sintomi.
Il “monitoraggio continuo” dei sintomi è un altro fattore comportamentale che può andare a rinforzare la percezione stessa del problema aumentando il senso di malattia in un circolo vizioso.
Ad esempio se la persona crede di avere un problema ai denti e li tocca continuamente per verificare che sia tutto ok, così facendo potrebbe infiammare la gengiva; questo nuovo fastidio confermerà che c’è un problema serio.
Tutti questi fattori rinforzano e mantengono la convinzione che lo stato di salute sia decisamente precario e sottostimato, che quindi non è possibile abbassare la guardia! Spesso chi presenta questo tipo di condizioni ha vissuto una malattia importante, o ha assistito un malato, e le esperienze riportate sono state complesse, difficili e pesanti.
L’apprensione per il proprio stato di salute può essere ancora maggiore se questo vissuto di malattia è stato caratterizzato da sintomi nascosti o ignorati e trattati molto tardi, o se la persona ha subito diagnosi sbagliate per lungo tempo.
In diverse circostanze può capitare che la persona non abbia avuto un rapporto diretto con la malattia, ma esperienze traumatiche di altro tipo o anche che gli sia stato insegnato che il mondo è pericoloso e pieno di minacce per la salute e che quindi la persona deve essere molto attenta e responsabile perché è troppo vulnerabile rispetto a ciò che la circonda.
La convinzione che si nasconde dunque dietro ad un disturbo del genere di solito è quella di essere fragile, vulnerabile, e questa credenza viene supportata da tutti i fattori cognitivi, motivazionali e comportamentali descritti sopra.
Lo scopo ultimo quindi è quello di non soccombere alla propria fragilità, di lottare, di non abbassare mai la guardia, proprio perché “in fondo sono fragili e non si possono permettere di correre il rischio”.
L’ipocondriaco è una persona che vive una forte responsabilità nei confronti della propria salute e spesso, di riflesso, di quella delle persone che gli sono accanto.
Purtroppo capita frequentemente che questa condizione si associ ad altri disturbi, come la depressione ed i disturbi d’ansia, quali attacco di panico, agorafobia e fobie specifiche.
È bene non sottovalutare dunque la situazione e rivolgersi ad uno specialista che saprà fare la giusta diagnosi, distinguendo questi disturbi da altri che presentano caratteristiche simili, ma che sono ben distinti: come il
Disturbo da Attacchi di Panico, il Disturbo da Ansia Generalizzato, la Depressione, il Disturbo Delirante, Il Disturbo Ossessivo – Compulsivo, ed altri ancora.
La quotidianità di una persona che vive una situazione del genere può29 essere davvero estenuante.
È bene prendersene cura e richiedere i dovuti provvedimenti perché l’ipocondriaco non è una persona fragile né delirante, o una che ricerca attenzioni: è una persona che lotta ogni giorno per meritarsi il diritto alla salute propria e quella dei propri cari.
Dott.ssa Barbara Bonfigli